Accordi collettivi ai sensi dell’art. 45, comma III, L. n. 203/82.

L’art. 45 della L. n. 203/1982, in sostituzione dell’ultimo comma dell’art. 23 L. n. 11/1971, stabilisce che sono validi tra le parti, “anche in deroga alle norme vigenti in materia di contratti agrari, gli accordi, anche non aventi natura transattiva, stipulati tra le parti stesse in materia di contratti agrari con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite le loro organizzazioni provinciali. Analoga validità viene attribuita alle transazioni stipulate davanti al Giudice competente, ossia avanti le Sezioni specializzate agrarie.

Con la disposizione in esame, il Legislatore mirava a ridare uno spazio all’autonomia privata, nel quadro però di un “controllo”[1] da realizzarsi con il coinvolgimento di soggetti collettivi, attraverso l’assistenza affidata alle organizzazioni professionali agricole rappresentative a livello nazionale, con la finalità di mantenere vivo il mercato dell’affitto dei fondi rustici, incentivando la conclusione di nuovi contratti e, nel contempo, per il tramite appunto di predette organizzazioni, lo stesso mercato verso soluzioni equilibrate in ordine al tradizionale conflitto tra le “ragioni della rendita” e quelle dell’impresa.

Predetto modello, così prospettato legislativamente, presupponeva che le citate organizzazioni sarebbero state in grado di fissare già al proprio interno linee orientative cui ancorare le scelte da praticare per il tramite delle organizzazioni provinciali, nell’attuare in concreto l’assistenza ex art. 45.

In realtà, il disegno del Legislatore in ordine alla assistenza relativa alla conclusione degli accordi individuali in deroga era in gran parte destinato a “naufragare” dal momento che la stessa interpretazione della norma è stata condizionata da una “meccanicistica trasposizione a livello delle organizzazioni professionali agricole[2] di soluzioni sperimentate sul terreno della contrattazione collettiva in materia di lavoro; e soprattutto “dall’avere registrato l’esistenza di una indubbia situazione di concorrenza tra le organizzazioni”.

Il possesso da parte di un’organizzazione professionale agricola del requisito della maggiore rappresentatività a livello nazionale anche ai sensi dell’art. 45 L. n. 203 del 1982 va accertato avuto riguardo alla situazione contingente e sulla base dell’adeguata diffusione della struttura organizzativa sul territorio nazionale, del consistente numero di iscritti, nonché dello svolgimento di attività concretamente rilevanti ai fini della tutela degli interessi degli agricoltori (desumibile, ad esempio, dalla partecipazione alle trattative per la stipulazione dei ccnl di settore e dalla loro sottoscrizione, dalla presenza di propri rappresentanti in organizzazioni o istituzioni di diritto pubblico e dalla costituzione di propri centri di assistenza agricola[3]).

Quanto detto è utile al fine di individuare l’esistenza di una profonda diversità qualitativa e strutturale delle organizzazioni professionali agricole rispetto ai sindacati dei lavoratori, a cui deve aggiungersi il richiamo alla sostanziale differenza tra l’assistenza richiesta per dirimere controversie e quella da attuarsi in sede di conclusione di nuovi contratti.

Nel primo caso, infatti, l’associazione interviene per realizzare il massimo di tutela di una delle parti e la stessa concorrenza tra le diverse organizzazioni si manifesta proprio sul terreno del migliore risultato da conseguire a vantaggio del soggetto privato. Viceversa, quando l’assistenza è richiesta perché possano effettuarsi deroghe alla normativa in occasione della stipula di una serie di contratti, anche diversi l’uno dall’altro, e per di più tale assistenza è necessaria per entrambe le parti contraenti, la concorrenza tra le organizzazioni professionali fa sì che è il raggiungimento del risultato, ossia il soddisfacimento della domanda dei privati circa la stipulazione di un contratto agrario, ad orientare i comportamenti dei soggetti collettivi.

A tal proposito, si deve richiamare l’ultimo comma del citato articolo 45, oggetto di contrastanti interpretazioni, in cui si prevede che: “In ogni caso, le organizzazioni professionali agricole possono stipulare accordi collettivi in materia di contratti agrari”, in deroga alla Legge n. 203/82.
Innanzitutto, bisogna fare riferimento alla relazione che intercorre tra gli accordi individuali in deroga di cui al comma I e gli accordi collettivi richiamati nell’ultimo comma dell’articolo più volte citato.
L’orientamento prevalente in dottrina[4] esclude che nell’ultimo comma dell’art. 45 il legislatore abbia inteso semplicemente affermare che le associazioni professionali agricole possano anche stipulare accordi collettivi in materia di contratti agrari. Invero, una delle manifestazioni fisiologiche dell’autonomia collettiva si identifica nella conclusione di contratti normativi destinati a costituire un punto di riferimento per la stipula di singoli contratti da parte di soggetti tenuti, per vincolo associativo, al rispetto degli impegni assunti dalle organizzazioni. Ed è ovvio che per tale via, secondo i principi generali, siano concretamente praticabili soltanto soluzioni che non risultino in pejus rispetto al quadro disciplinare inderogabile.
In alternativa a predetta interpretazione, si è invece sostenuto che la disposizione va inquadrata nell’ambito della specifica complessiva finalità dell’art. 45 L. 203/82. Anche l’accordo collettivo partecipa, unitamente al comma I dell’art. 45, alla finalità perseguita dal legislatore di rendere possibili deroghe all’applicazione di una disciplina altrimenti inderogabile.
Accertata la medesima finalità intercorrente tra il comma I e III dell’articolo più volte citato, nel senso che entrambi gli strumenti sono chiamati in vista dell’attuazione controllata di deroghe alla disciplina legale, le interpretazioni divergono per quanto riguarda il rapporto che intercorre tra l’accordo collettivo intervenuto, al fine di adottare soluzioni in materia di contratti agrari che comportino deroghe alle norme fissate dal legislatore e l’accordo individuale di cui al primo comma della disposizione di legge.
Secondo una prima tesi[5], per accordo collettivo si intende uno strumento volto a fissare regole anche in deroga alla normativa dei contratti agrari e tale da prospettare anche veri e propri contratti-tipo. Esso rappresenterebbe una soluzione tecnica autonoma, sostitutiva di quella di cui al comma I.
In altri termini, l’accordo collettivo rileverebbe come manifestazione di un potere normativo delegato alle associazioni, più esattamente metterebbe a disposizione degli operatori economici interessati soluzioni disciplinari in materia di contratti agrari anche sostitutive delle rispondenti regole inderogabili: soluzioni di cui gli operatori potrebbero avvalersi efficacemente senza dovere sottostare alla norma di cui al comma I dell’art. 45. In particolare, secondo questa interpretazione normativa, le regole adottate nell’accordo collettivo in materia di contratti agrari e destinate ad essere utilizzate dai privati nella stipula dei singoli contratti dovrebbero avere un contenuto esaustivo tale da assicurare una loro immediata e agevole applicazione senza la necessità di ulteriori puntualizzazioni in sede di conclusione del singolo contratto. Se così non fosse, l’accordo collettivo “tradirebbe” lo scopo ad esso assegnato dal legislatore: ove le regole presenti nell’accordo fossero elastiche e tali da richiedere una specificazione in sede di conclusione del singolo contratto, la determinazione della regola contrattuale in deroga alla disciplina legale finirebbe con l’essere affidata all’autonomia delle parti private.
Per cui, la delega affidata dal legislatore alle organizzazioni professionali e da attuare mediante l’accordo collettivo finirebbe con l’essere girata a favore dei soggetti privati attraverso le “maglie dello stesso accordo collettivo[6].
Sul punto, infatti, si è parlato di una vera e propria “potestà normativa concorrente” dotata di un connotato di tipo pubblicistico, salvo poi escludere che tali accordi, anche nei confronti degli iscritti alle organizzazioni firmatarie, dispieghino un’efficacia normativa vincolante. L’efficacia sarebbe puramente obbligatoria e quindi derogabile dalla autonomia individuale[7].
In definitiva, la norma consentirebbe la determinazione di una disciplina collettiva di tipo normativo, contenendo una sorta di delega di funzione normativa, ma gli accordi collettivi sarebbero destinati a spiegare efficacia obbligatoria interna interassociativa e dunque la loro violazione sarebbe sanzionata soltanto sul piano della responsabilità “contrattuale” delle associazioni professionali firmatarie nonché sul piano della responsabilità interna alle associazioni medesime.
L’altra linea interpretativa[8] nega che l’accordo collettivo possa costituire una tecnica alternativa a quella prevista per il primo comma in vista della attuazione di una deroga all’applicazione della disciplina e, dunque nega che la contrattazione collettiva sia manifestazione di un potere “normativo” delegato alle organizzazioni professionali. Infatti, secondo questa interpretazione, affinché operi la deroga alla disciplina legale in materia di contratti agrari, non sarebbe sufficiente la sola presenza dell’accordo collettivo che ha fissato clausole implicanti soluzioni diverse da quelle legali. Resterebbe pur sempre necessaria, per una valida applicazione dell’art. 45, l’assistenza da parte dell’organizzazione agricola al momento della stipula del contratto.
L’accordo rileverebbe come uno strumento chiamato ad operare in primo luogo all’interno delle organizzazioni professionali firmatarie, quale via da percorrere al fine di fissare regole destinate non già ad incidere direttamente sugli operatori economici quanto soprattutto ad indirizzare i comportamenti dei rappresentanti delle medesime organizzazioni in vista dell’attività di assistenza al momento della conclusione dei singoli contratti.[9] Conseguentemente, l’assistenza delle organizzazioni professionali deve ritenersi comunque necessaria in sede di accordo individuale; quest’ultimo va peraltro considerato valido ed efficace anche nell’ipotesi in cui deroghi ai termini dell’accordo collettivo stipulato da predette organizzazioni.
Tale tesi è stata indirettamente confermata dall’art. 15 n. 441 del 1998, recante norme sull’imprenditoria giovanile in agricoltura, che dispone l’assoggettamento ad imposta di registro solo in caso di uso per i contratti di affitto di fondi rustici, conclusi a favore di giovani agricoltori, che risultino conformi a quanto previsto in materia di accordi collettivi.
Il collegamento tra le due disposizioni di cui al primo e all’ultimo comma dell’art. 45 permette di chiarire che le organizzazioni professionali, cui fa espresso riferimento l’ultimo comma, coincidono con le organizzazioni del comma I, ossia con quelle maggiormente rappresentative a livello nazionale.
Infatti, l’accordo collettivo richiamato in questa disposizione non si identifica con l’accordo collettivo di diritto comune. Nella prospettiva accolta dal legislatore, l’accordo collettivo è uno strumento mediante il quale le organizzazioni professionali, chiamate a rappresentare le categorie dei concedenti e dei concessionari e legittimate all’assistenza, esercitano il potere normativo loro delegato, in vista della stipula di singoli accordi in deroga, individuando delle regole generali in grado di derogare la disciplina legale in materia di contratti agrari.
Da questo punto di vista, la stipula di accordi collettivi è facilitata in quanto presuppone che tra le diverse organizzazioni professionali, affinché l’accordo collettivo nazionale risulti conforme al dato normativo di cui all’art. 45 ultimo comma, elimina alla radice, alla stessa stregua di quanto avviene per l’assistenza nella stipula del singolo accordo in deroga, la concorrenza al ribasso tra le varie organizzazioni altrimenti inevitabile.
L’assistenza prevista per la stipula del singolo accordo in deroga richiede la necessaria partecipazione di tutte le associazioni di categoria a livello nazionale soltanto al momento della individuazione dei rispettivi criteri orientativi da parte delle organizzazioni maggiormente  rappresentative a livello nazionale e non certo al momento della specifica attuazione dell’assistenza che si realizza al livello del singolo contratto attraverso l’intervento delle strutture organizzative provinciali.
Predetta distinzione, sia pure con un diverso contenuto, è presente anche a proposito dell’accordo collettivo di cui all’ultimo comma dell’art. 45 L. n. 203/1982. È significativa, in tal senso, la stessa lettera della norma: da un lato esordisce con l’espressione “in ogni caso”, dall’altro richiama semplicemente l’accordo collettivo senza alcuna ulteriore aggettivazione.
Per questo motivo, secondo autorevole dottrina[10], si può validamente sostenere che l’ultimo comma dell’art. 45 può legittimamente ricomprendere sia accordi collettivi stipulati a livello nazionale sia accordi collettivi stipulati a livello provinciale.
Per la conclusione di accordi a livello nazionale si rende necessaria la partecipazione di tutte le organizzazioni professionali agricole, mentre sembra potersi affermare che per la valida conclusione di accordi collettivi a livello provinciale non si renda necessaria tale partecipazione. Ovviamente, in questa seconda ipotesi, l’ambito di applicazione dell’accordo risulterà più limitato.
In ogni caso, ai fini di una corretta applicazione dello stesso art. 45, comma I, e, dunque, dell’efficacia derogatoria degli accordi, è pur sempre indispensabile che le organizzazioni a livello nazionale abbiano individuato in comune criteri guida e linee orientative al cui rispetto sono vincolate le strutture organizzative periferiche.
Analogamente, la contrattazione collettiva provinciale è in grado di operare ai sensi dell’art. 45 ultimo comma a condizione che risulti conforme ai criteri comuni individuati a livello nazionale dalle rispettive organizzazioni ovvero all’accordo nazionale, se quest’ultimo è intervenuto.
Così come  avviene al momento della stipula del singolo accordo in deroga, non è necessario che l’accordo collettivo provinciale sia concluso con la partecipazione di tutte le strutture organizzative provinciali delle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale.
Ovviamente, è necessario non confondere, in materia di contratti agrari, gli accordi collettivi di cui all’art. 45, comma III, L. 203, con gli accordi “interprofessionali”, ossia accordi collettivi con funzioni “normative”, in considerazione dell’efficacia delle sue statuizioni sui successivi contratti di coltivazione e vendita.
Le analogie tra i due tipi di accordi si fermano alla loro natura collettiva e alla loro efficacia normativa. Assolutamente diverso è invece il campo di azione degli stessi, unitamente ai soggetti legittimati alla loro conclusione.
Gli accordi collettivi di cui al comma III dell’art. 45 sono diretti a regolamentare il contenuto dei successivi contratti di affitto di fondo rustico da stipularsi in deroga alle norme vigenti in materia, tra il singolo concedente ed il singolo affittuario, avente immediata efficacia solo nei confronti delle organizzazioni professionali.
Si tratta pertanto di accordi aventi una rilevanza interna al solo settore agrario e diretti a disciplinare le modalità di un contratto con concessione di terreno quale l’affitto di fondo rustico.

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Agli accordi collettivi stipulati dalle Organizzazioni professionali agricole di cui si è trattato sino ad ora, si possono assimilare analoghi accordi destinati a disciplinare in modo omogeneo tutti i contratti di affitto facenti capo ad un unico affittante.
Ed invero, in assenza di accordi collettivi applicabili alla generalità dei contratti di affitto, si ricorre sempre più di spesso, soprattutto da parte di enti pubblici, alla stipulazione di “accordi-quadro” che definiscono i termini essenziali dei contratti di affitto aventi ad oggetto beni di proprietà dell’ente.
Anche in questo caso, le Organizzazioni agricole contraenti si impegnano, sottoscrivendo l’accordo, a non prestare la loro assistenza o comunque a non convalidare ai sensi del citato art. 45, i contratti che non rispettino le condizioni dell’accordo-quadro, che pertanto viene ad assumere, nei limiti di cui si è già detto, una funzione assimilabile a quella degli accordi collettivi di carattere più generale.
Il tutto ferma restando la necessità che l’assistenza di cui all’art. 45 venga prestata anche in sede di stipula di ciascun singolo contratto, se non altro per verificarne la conformità  all’accordo-quadro.
A conclusione di queste brevi note, sembra opportuno segnalare un’ulteriore forma di predeterminazione  delle clausole contrattuali che, pur non rientrando nella sfera degli accordi collettivi, vede coinvolte le organizzazioni professionali agricole.
Si è infatti stabilito, in tema di bando indetto dalla Pubblica Amministrazione per la concessione in affitto di fondi rustici, che la preventiva comunicazione alle Organizzazioni agricole delle condizioni contrattuali costituisce modalità adeguata a garantire il rispetto della ratio che sottende l’art. 45 L. n. 203/1982, offrendo la possibilità a dette organizzazioni di valutare predette condizioni e di informare i rispettivi associati, consentendo loro di partecipare alla gara dopo averle adeguatamente considerate[11].

Ludovica Colombo
Dottore in Giurisprudenza

 

 

[1] JANNARELLI, in Dir. e Giur. Agr. e ambientale, 1990, p. 193 segg..

[3] così Trib. Mantova 29 settembre 2016, in GARBAGNATI, NICOLINI CANTU’, Contratti e prelazione agraria, Milano, 2020, p. 78.

[4] JANNARELLI, Ibidem.

[5] ROMANO, Accordi in deroga, in Dir. e Giur. Agr. e alimentare, 1982, p. 281.

[6] JANNARELLI, Ibidem.

[7] ALESSI-PISCIOTTA, in I contratti agrari, Trattato di Diritto Civile e Commerciale, 2015, p. 329 segg..

[8] CASADEI, in Gli accordi collettivi: dopo il convegno sull'art. 45 della Legge n. 203/1982: atti del convegno di Firenze, 14-15 giugno 1991 / a cura di Ettore Casadei e Alberto Germanò, p. 12 segg.

[9] JANNARELLI, in Op. ult.cit., p. 204, in cui si fa riferimento agli Accordi collettivi di Verona del 21.10.1989 e di Ferrara del 27.06.1988, in cui si prevede il rispetto del comma 1 dell’art. 45.

[10] JANNARELLI, in Ibidem.

[11] Trib. Lecco 12 settembre 2016, n. 504; App. Milano 6 marzo 2017, n. 324, in GARBAGNATI, NICOLINI CANTU’, Contratti e prelazione agraria, Milano, 2020, p. 186.

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